I due diventano uno
Non è il dolore del coltello che scava nella carne a sfogarsi
sul suo viso con la smorfia che lo distorce; dopo tutte le ferite, le ossa
rotte e le ustioni tre semplici stigmatizzazioni sono un nonnulla.
La bruciante sensazione viene da dentro e non ha un nome preciso, del resto
qualsiasi cosa, in qualsiasi ambito, per essere fusa dev’essere soggetta ad un
trauma.
La testa scoppia, il cuore batte all’impazzata e sembra voler uscire dal petto,
i muscoli sono scossi da fremiti, tutti tranne quelli che governano le mani; le
sue mani non tremano mai.
Pochi momenti e la prima incisione è terminata.
”You made
me wait quite a while”
Il sangue che cola dal petto è una sensazione famigliare ma
è l’unico elemento in un insieme di percezioni aliene. La vista si annebbia, i
contorni della stanza sotterranea che lo ospita diventano indistinti come
fossero parte di un sogno e le membra vengono pervase nuovamente dal potere
mistico della sua entità, sfuggito al controllo senza forzature ma come un
fisiologico sospiro di sollievo dopo una lunga ed estenuante apnea.
Così anche la seconda incisione è compiuta
“Have you
finally come to your senses? Now you truly understand the value of the path of
your choosing. Yes! I can see that look on your eyes once more and I heeded
your resolve! Vow to ME.”
Le gambe non reggono più il peso del corpo, le ginocchia
urtano il terreno ma la lama rimane accostata e stretta al petto come fosse un
tesoro prezioso. Chi è presente nella stanza non si muove di un millimetro per
aiutarlo e fa bene; quanto sta avvenendo riguarda solo due entità e non c’è
spazio per una terza.
Grugnisce, geme e lacrima copiosamente tanto quanto sanguina nel percepire ogni
parte di lui bruciare, come se qualcuno lo avesse inserito nel crogiolo di una
forgia. Ciononostante la mano pare muoversi di volontà propria nel tornare ad
incidere sulla carne il macabro simbolo, senza esitazione.
Portata a termine la terza ed ultima incisione un sussurro bassissimo e
sfibrato gli lascia le labbra, stanco della stanchezza di “chi non ne ha più”: una
risposta più che sufficiente a quanto pare.
“Well then, let us renew our oath.
Since you still want to heal the world from vile and corrupted acts I shall
bond myself with you. No one now, nor mortal or immortal, shall divide us
again; for we are ONE. There is no turning back! Let this reforged bond be the
example of OUR true justice henceforth!”
Il rituale ha termine; lascia spazio ad un silenzio assordante nel quale le
percezioni, ritardatarie, si accendono un po per volta: vede dove si trova, si rende contro del corpo e delle mani coperte di sangue e a percepire il
terreno, sul quale è finito in ginocchio, sotto di se. Il cuore all’interno del
petto non smette di scalciare, la testa pulsa dolorosamente invasa dalle
immagini che il rituale gli ha rievocato; come frammenti di vetro gli si
piantano nel cervello. Punta gli occhi vacui a ridosso di colei che ora lo
soccorre, vorrebbe rassicurarla ma la gola è riarsa e
in fiamme; deve aver urlato con tutto se stesso ad un certo punto. Si
limita a socchiudere gli occhi e a sorridere di un sorriso evanescente e sedato,
lo stesso degli strafatti, prima di accasciarsi al suolo e perdere i sensi, con
in testa il rimbombo tonante del patto appena stipulato e sul cuore la firma
con il quale lo ha siglato.
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