In tre anni
Tre anni fa ...
Galen Grace usava guardarsi spesso allo specchio, mostrando
un pizzico di vanità che i tratti equilibrati e la giovane età ben legittimavano.
Zigomi alti, fronte proporzionata, occhi dal taglio più sottile di un bel
colore verde, bocca fine e mascella volitiva, enfatizzata da quella che era una
barbetta omogenea appena maturata, ancora “morbida” per via dell’adolescenza.
Gli piaceva vestirsi bene: prediligeva i colori scuri, quelli che gli
affinavano il fisico che comunque è sempre stato nell'equilibrio della forma;
apprezzava giacche, camicie, gilè ma anche abbigliamenti più casual e di tanto
in tanto sfogava il suo essere “geek” con qualche maglietta meno pretenziosa.
Apprezzava la compagnia, sia quella dei suoi coetanei che quella degli adulti che
gli orbitavano attorno (prevalentemente professori, vicini di casa o altro); le
serate più sociali le trascorreva rafforzando legami con
un’ampia cerchia di amici tra i quali spiccava sempre questa o quell'altra
ragazza. Non mancavano certamente gli screzi, qualche litigata, qualche rottura
e un paio di scenate; una volta ci scappò pure una scazzottata all'esterno di
un club: le prese di santa ragione per aver offerto da bere alla tipa sbagliata
ed aver provato a uscire dalla brutta situazione, tipicamente, a suon di parole.
Apprezzava la musica, suonava il pianoforte ed era bravo; tanto bravo che
qualcuno perfino ha azzardato la previsione di una brillante carriera sul palcoscenico
cosa che ne ha gonfiato l’ego e ha fatto attardare la mente sull'eventualità
che la stessa avrebbe potuto forse avverarsi.
Per finire era costante nello studio ma oltre che semplicemente dedicato ad
esso è nato con la fortuna d’essere “portato” per l’apprendimento; i concetti
rimanevano nella testa con facilità, gli esami venivano superati, qualcuno più
difficilmente di qualcun altro e il tirocinio successivo portato avanti
pedissequamente giorno dopo giorno.
... Tre anni dopo le cose sono cambiate
Galen Grace ha cominciato a rifuggire il suo stesso
riflesso, pure se chi sta “dall'altra parte” è diventato una presenza
abituale; non sosta davanti alla superficie riflettente per più di pochi attimi,
prevalentemente la mattina e la sera per lavarsi e darsi una sistemata ma per
il resto tende a girarsi dall'altra parte. Il suo aspetto è cambiato: ci sono
più rughe, ci sono più segni e ci sono le occhiaie; ci sono i capelli e la barba
brizzolati, ci sono le labbra ferite dai denti e dal nervosismo, c’è la fronte
perennemente contrita e gli occhi accesi di consapevolezza ma induriti dall'orrore
e dal cinismo che lo hanno fulminato sulla strada.
I bei vestiti sono diventati un ricordo; ne conserva ancora qualcuno che non
può permettersi di indossare per non apparire, perché essere pratici è più
importante che essere affascinanti. Predilige ancora le tinte scure ma non perché
sfinino la figura, smagrita e indurita da muscoli e nervi, bensì perché gli
permettono di nascondersi e di farsi scivolare le ombre addosso come una
seconda pelle, di passare inosservato e tante volte di colpire per primo e con più
durezza; perché quello è l’importante, perché adesso il concetto d’eleganza
espresso da quel tale stilista italiano è diventato deleterio: meglio non farsi
ricordare. Mai. Specialmente da quelli che colpisci.
Apprezza ancora la compagnia ma è diventato più attento, più sospettoso e
guardingo: avvicina gli sconosciuti con l’inquietudine a sussurragli nell'orecchio
nonostante riesca a destreggiarsi nella conversazione; le tenere amicizie che
aveva sono sparite, fagocitate dalla distanza, dalla macchina della guerra o
dalle voragini dei ponti tagliati; a sostituirle ci sono le catene pesanti di
altri disperati come lui dei quali si è fatto carico cedendo le proprie di
rimando: sono violenti e violentemente attaccati alla loro vita e al loro scopo
e per questo sono la sua giusta compagnia.
Le litigate del passato sono acqua fresca in confronto al presente: ora gli
screzi si tramutano in giuramenti di inimicizia, le alleanze si formano e si sgretolano,
i tradimenti (veri o presunti) abbondano lasciando ferite aperte e sanguinanti
che forse nemmeno il tempo riuscirà a far cicatrizzare. In equilibrio su quello
che metaforicamente è il ghiaccio sottile del suo quotidiano Galen Grace si
arrende sempre più spesso all'uso della forza quando le parole non funzionano e
il dramma è che non le prende più di santa ragione come una volta: incassa
bene, risponde altrettanto bene e quando risponde fa male e non ha pietà, perché
non se la può permettere, nonostante l’amaro in bocca e la sconfitta nel cuore
che martellano e cercando di distrarlo; riesce a rendersi sordo per tutto il
tempo che basta, per tutte le ferite che il nemico può subire prima di
stramazzare.
Suona ancora ma nella Desert non puoi farti sentire; lo fa per se stesso e per allietare
pochi altri, su uno strumento un po' sgangherato (frutto di una razzia passata) che non ha nemmeno tutti i tasti al loro posto; alle note che mancano
sopperisce con la voce, perché si, nonostante sia più adulta e un poco più profonda,
quella è rimasta decente anche se nessuno stadio, ne teatro, lo saprà mai.
Alla fine di tutto non ha smesso nemmeno di studiare, solo che oltre ai libri
di medicina sui quali continua a gettarsi come un ossesso sotto gli occhi
scorrono spesso e volentieri rapporti, annotazioni e testimonianze di tutte le
brutture alle quali da la caccia altrettanto pedissequamente e appassionatamente.
Sapendo tutto ciò l’unica cosa rimasta da chiedersi è una:
Cosa sarà tra altri tre anni?
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